Nel luglio del 2017 ha speso quattromila euro per una bella stufa da installare nel caminetto, ne ha pagati altri 1.200 per il montaggio, per un totale di 5200, prima di chiuderla con il cartongesso ha aspettato i quindici giorni di verifica come gli era stato richiesto, ma non ha fatto a tempo a godersela per un paio di volte, nel successivo mese di ottobre, che una delle pareti in ghisa, quella destra, è letteralmente crollata. La disavventura è capitata ad un quarantenne di Eraclea, che pure aveva acquistato un prodotto di marca, dal costo di 3.538 euro più Iva, e presso un rivenditore qualificato della stessa Eraclea. Certo, un difetto di costruzione può capitare, perché di questo si è trattato per ammissione anche delle controparti: in buona sostanza, una staffa è stata saldata in modo sbagliato, a un paio di centimetri di distanza in più dalla parete crollata che doveva sostenere. L’acquirente, nonostante i disagi patiti, chiedeva e chiede soltanto, trattandosi di una stufa nuova di zecca e per di più in garanzia, che gli fosse sostituita integralmente. E invece niente da fare. L’azienda, che il quarantenne ha subito avvisato del problema, gli ha dapprima mandato un tecnico della fabbrica “che si è limitato a sollevare la parete in ghisa e a dare un paio di martellate alla staffa”. Il cliente si è lamentato per la riparazione molto “easy” e questa volta il rivenditore ha inviato a casa sua due tecnici, uno proprio e uno della fabbrica, i quali però hanno proposto di procedere ad una riparazione montando una contro-staffa per colmare lo spessore mancante. Il cliente ha obiettato che si sarebbe trattato di un’aggiunta non conforme, con la conseguenza che, in caso di guasto o di mal funzionamento, la garanzia avrebbe potuto non rispondere, anche perché il rivenditore non accettava di rilasciare una certificazione scritta in tal senso. Ultima proposta del rivenditore: far sostituire la staffa dalla fabbrica con due viti riconoscendo per il disagio – proposta peraltro solo verbale – 200 miseri euro all’acquirente, che però è rimasto fermo sulla sua richiesta di sostituzione della stufa. L’uomo, attraverso un consulente personale si è ora affidato ad società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini, che ha incalzato a più riprese sia il rivenditore che la fabbrica, ma ogni richiesta per conto del proprio assistito è caduta nel vuoto. L’ultimo diniego è del 13 novembre ed è arrivato dal produttore della stufa, il quale asserisce che “non ci sono i presupposti per sostituire il prodotto né tanto meno per il riconoscimento del deprezzamento del monoblocco”.
Scritto da Marco Corazza per il quotidiano “Il Gazzettino“