Christian Sgnaolin, l’imprenditore sandonatese, ex braccio destro del boss di Eraclea, Luciano Donadio è sotto regime di protezione. Sgnaolin non ha ancora lo status di collaboratore di giustizia, ma le sue dichiarazioni sono ritenute importanti per smantellare l’organizzazione criminale e, di conseguenza, il quarantaseienne è stato spostato in una località segreta per impedire che gli possa accadere qualcosa. La circostanza è emersa ieri, nell’aula bunker di Mestre, nel corso della prima giornata dell’udienza preliminare a carico dei 75 imputati coinvolti nell’inchiesta sulle presunte infiltrazioni mafiose nel Veneto orientale, di cui 37 accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso. L’imputato numero 76, l’ex sindaco di Eraclea, l’avvocato Mirco Mestre, accusato di voto di scambio, ha saltato l’udienza preliminare in quanto ha chiesto di essere giudicato con rito immediato e dunque andrà direttamente a dibattimento.
In aula bunker erano presenti una ventina di imputati (tra i 30 processati in libertà e gli 11 che si trovano ai domiciliari) tra cui l’ex segretaria di Donadio, Claudia Zennaro, il carrozziere di Eraclea Emanuele Zamuner (imputato di aver procurato all’ex sindaco Mestre i voti del clan Donadio) e il consulente del lavoro Angelo Di Corrado, implicato anche nell’inchiesta sul caporalato e le presunte mazzette alla Fincantieri. I detenuti hanno invece assistito all’udienza dai rispettivi penitenziari, collegati in videoconferenza come previsto dalla nuova normativa: soltanto in tre hanno rinunciato a tale facoltà.
Diciassette imputati, poco meno di un quarto del totale, hanno anticipato l’intenzione (alcuni con riserva) di chiedere il giudizio abbreviato, ovvero sulla base delle sole prove documentali raccolte durante le indagini, con la garanzia dello sconto di un terzo in caso di condanna: si tratta di Christian Sgnaolin, Vincenzo Vaccaro; Girolamo Arena, Giuseppe Lazzaro, Moreno Pasqual, Fabrizio Formica, Bernardino Notarfrancesco, Paolo Valeri, Saverio Capoluongo, Tommaso Ernesto Pizzo, Emanuele Zamuner, Vincenzo Chiaro, Ennio Cescon, Salvatore Salvati, Valentino Piezzo, Nunzio Confuorto e il nipote del boss, Antonio Puoti. In due hanno avanzato richiesta di patteggiamento: il padovano Giorgio Minelle (estorsione) e la sandonatese Tatiana Battaiotto (favoreggiamento). Tutti gli altri sembrano intenzionati a non voler accedere a riti alternativi, e dunque si profila un maxi dibattimento, con una cinquantina di imputati e una durata che probabilmente sarà superiore ad un anno. Lo stesso Donadio ha deciso di difendersi nel corso del processo di fronte al Tribunale, rinunciando allo sconto garantito dall’abbreviato. «Siamo convinti di poter dimostrare che le cose sono andate in maniera diversa da quella prospettata dalla pubblica accusa», ha spiegato a conclusione dell’udienza l’avvocato Renato Alberini, il quale ha affiancato nella difesa il legale padovano Giovanni Gentilini, esperto in processi alla criminalità organizzata.
Scritto da Gianluca Amadori per il quotidiano “Il Gazzettino“