Il sindaco Mestre incastrato da Zamuner

Ho informato Mirco Mestre dei voti di Donadio, come di tutti gli altri che avevo raccolto. Sapevo del suo precedente per estorsione perché me lo aveva detto lui. Certo Donadio non era uno stinco di santo, lui e i suoi era noto che non fossero limpidi. Ma non sapevo assolutamente che Donadio fosse la persona che è emersa dall’ordinanza di custodia cautelare». Così ha parlato Emanuele Zamuner davanti al pubblico ministero Roberto Terzo durante l’interrogatorio. Il commerciante d’auto è in carcere con l’accusa di essere il tramite tra il sindaco ora dimissionario Mirco Mestre e colui che è ritenuto dagli investigatori il boss dei Casalesi ad Eraclea, Luciano Donadio. E davanti al sostituto procuratore ha raccontato la propria verità. Ovvero di aver fatto la campagna elettorale per Mestre dopo essere stato lasciato fuori all’ultimo dalla lista del futuro sindaco perché non era residente a Eraclea, pur avendo lavoro e interessi in paese. Un centinaio di voti circa, quelli recuperati da Donadio & company risultarono fondamentali alle amministrative del 5 giugno 2016: la lista di Mestre vinse per 81 preferenze. L’ex sindaco sapeva che circa un centinaio di voti arrivavano da Donadio? Secondo Zamuner sì, stando a quanto ha detto al pm, era convinto però che fossero voti leciti.

Il sindaco, accusato di voto di scambio politico-mafioso, nei giorni scorsi ha parlato per oltre quattro ore davanti al magistrato nel carcere di Tolmezzo. Ha negato più e più volte di aver dato incarico a Zamuner di andare a cercare voti e di bussare a quelle persone. «Escludo fermamente che Zamuner mi abbia riferito di avere ottenuto l’appoggio di Luciano Donadio o comunque di aver indicato a quest’ultimo di far votare la Ongaro ed il Varagnolo (candidati consiglieri)», ha fatto mettere a verbale Mestre. Alla fine dell’interrogatorio, pressato dalle domande del pm che era forte anche delle dichiarazioni di Emanuele Zamuner, il sindaco dimissionario avrebbe in parte ammesso qualcosa in relazione alla conoscenza della provenienza dei voti convogliati su di lui da Donadio, di cui era stato avvocato per molti anni. Negando però tutto il resto, così come peraltro aveva già fatto Zamuner. Il vero nocciolo della questione è, infatti, la sussistenza o meno di un accordo (orale, ovviamente) tra il sindaco e Donadio. Nocciolo su cui si basa la contestazione di voto di scambio. Sul piatto, secondo la Procura, da un lato il pacchetto di voti garantito dall’entourage del boss, dall’altro il via libera da parte dell’amministrazione alla centrale a biogas a Stretti. Accordo, sempre secondo il sostituto procuratore, che sarebbe provato, tra l’altro, dall’attivismo di Mestre subito dopo l’elezione in relazione alla questione della centrale. «Mestre ha negato l’accordo preliminare o successivo con Donadio sia personalmente, sia attraverso terze persone», chiarisce l’avvocato padovano Emanuele Fragasso, precisando che il suo assistito «non ha reso alcuna confessione». Si legge nell’ordinanza che il sindaco «ha accuratamente evitato di avere incontri pubblici con il Donadio ma, tramite il solito intermediario Zamuner, ha concordato appuntamenti in posti discreti e ha comunque fatto sapere da subito che avrebbe fatto tutto quanto nelle sue possibilità, nella sua veste di sindaco, per agevolare le richieste e iniziative economiche di Donadio e Valeri». Ma ad ottobre 2016, dopo aver superato alcuni passaggi iniziali, “Green Life” si arena. Il Comune chiede integrazioni che i promotori non riescono a soddisfare. Ma per la Procura il reato di voto di scambio si è concretizzato comunque.

Scritto da Rubina Bon per il quotidiano La Nuova Venezia.