La tragica fine di Giuliano Babbo. Parla il fratello del pirata. Hajdin Kuldqi è sconvolto. Giovedì sera c’era suo fratello, il più piccolo della famiglia, alla guida dell’Audi A3 che perdendo il controllo dopo un sorpasso in curva, ha centrato, provocandone la morte, Giuliano Babbo, 53 anni. Kajtaz compirà 21 anni il prossimo 5 giugno. Hajdin prima di parlare cerca le parole giuste, ma è difficile capire dove andare a cercarle. «Ha sbagliato e chiediamo scusa. Ci dispiace molto, moltissimo per la famiglia della vittima», prova dire Hajdin, sapendo che le sue parole non potranno lenire il dolore dei genitori e delle due sorelle del 53enne di Brian di Eraclea, «anche la nostra famiglia è rimasta sconvolta da quello che è successo». Moglie, due figli, un posto di lavoro dove è stimato in un’azienda di San Donà, Hajdin ha nella testa l’immagine di un ragazzo che senza patente e a più di 100 chilometri all’ora ha ucciso un operaio, la cui unica colpa è stata quella di essersi trovato nel mezzo di quella che i carabinieri della compagnia di San Donà ritengono essere una gara clandestina tra l’Audi e un’Alfa 147 guidata dal cugino Edmon Balaj, 26 anni. Nel cuore ha invece il fratello più piccolo della famiglia, quello che tante volte aveva cercato di aiutare. Di «portare a fatica sulla strada buona», come confida un amico. «t un ragazzo di 20 armi», aggiunge Hajdin, «un ragazzo di 20 anni che ha sbagliato. Spero che possa rendersi conto di quello che ha fatto». Infilando una serie di comportamenti terribili. La guida dell’auto senza patente, la gara, l’incidente, la fuga all’ospedale Cattinara di Trieste, le bugie ai medici del pronto soccorso su quelle ferite al volto e alle braccia «Sono caduto dalle scale» che si era provocato nell’incidente dal quale, solo poche ore prima, si era allontanato a piedi, lasciando Giuliano Babbo tra la lamiere della sua Focus. Babbo stava tornando a casa dal turno in fabbrica, alla 3B di Salgareda. Operaio impegnato nella produzione dei pannelli da cucina, aveva concluso e il turno del pomeriggio e stava percorrendo via del Monaco, sulla bretella del centro commerciale Piave. Lui e Kajtaz, proprio alle 3B di Salgareda potrebbero essersi incrociati. Era stato lì, infatti, il primo lavoro del giovane kosovaro, 6 anni fa, per una cooperativa esterna che si occupava degli imballaggi. A portarlo, sperando di aiutarlo a costruirsi un futuro, era stato proprio il fratello, per evitargli un’adolescenza da testa calda. Il primo impiego dopo gli anni delle scuola media, frequentata a San Donà, e un armo senza troppa voglia di studiare in un istituto superiore. Un primo impiego al quale ne erano seguiti altri, un’azienda di produzione di radiatori, poi la Inipress, a Motta di Livenza. La difficoltà di tenersi stretto un lavoro, la passione per le auto, la guida senza patente: negli ultimi due anni le forze dell’ordine, a cavallo tra le province di Venezia e Treviso, lo hanno fermato per ben tre volte alla guida di auto, ma senza la patente. «Quante volte gli ho detto di andare a farla, quante volte gli ho detto che non poteva guidare senza patente», ricorda ancora il fratello. La famiglia Kuldqi è arrivata in Italia 19 anni fa: oggi ci sono la madre in queste ore disperata e quattro fratelli, due maschi e due femmine. Kajtaz abitava in parte con il fratello e la madre a Cessalto, e in parte con la sorella, sposata, che sta a Cavallino. «Siamo una famiglia per bene», dice Hajdin, «è per questo che anche noi non ci diamo pace, non riusciamo a capire cosa sia successo». Anche perché Kajtaz e il suo gruppo di amici avrebbero mentito pure ad Hajdin, contattato giovedì notte al telefono per chiedergli un aiuto, ma tacendo su quanto accaduto, prima della fuga verso l’ospedale di Trieste, sapendo bene che, se fossero andati all’ospedale di San Donà, si sarebbero trovati i carabinieri all’ingresso dell’ospedale. Quel che sapeva, Hajdin l’ha spiegato ieri mattina ai carabinieri di San Donà, che si stanno occupando dell’indagine. Ricostruendo anche la cerchia di amici: la passione per le auto, le foto dei bolidi pubblicate sui social, qualche guaio con la giustizia, le risse. «Una rissa da non dimenticare, 8 contro 3, bello insomma», scriveva due anni fa su Facebook Edmon Balaj, 26 anni che secondo l’indagine dei carabinieri era alla guida dell’Alfa 147. Balaj gli arresti li aveva già conosciuti, nel settembre del 2014 era finito ai domiciliari accusato di tentata estorsione (reato poi riqualificato in sede di giudizio, ora concluso) e lesioni personali. Assieme a un complice, un 26enne albanese di Ponte di Piave, aveva avviato un commercio di marijuana nell’Opitergino. Riforniva molti giovani. E giù botte contro chi non pagava.
Francesco Furlan