Le motivazioni del tribunale del Riesame sono state depositate ieri. Settanta pagine nelle quali i giudici, sulla base degli elementi presenti nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice Marta Paccagnella su richiesta del sostituto procuratore Roberto Terzo, e sulla base di quanto emerso negli interrogatori successivi all’arresto, hanno ricostruito e messo in fila gli elementi che hanno portato agli arresti di Mestre, per voto di scambio mafioso, e di Zamuner, accusato di essere il tramite tra l’allora candidato sindaco e il boss Donadio.
Mirco Mestre, dimissionario sindaco di Eraclea, sapeva con chi aveva a che fare. Conosceva Luciano Donadio, di cui in passato era stato anche avvocato, conosceva il suo spessore criminale e sapeva che chiedere a lui i voti – se pur attraverso Emanuele Zamuner, che lo aiutava nella campagna elettorale per conquistare il municipio di Eraclea – equivaleva a chiederli al boss dei Casalesi. Per questo il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di annullamento dell’ordinanza a carico del primo cittadino dimissionario promossa dall’avvocato Emanuele Fragasso, oltre che quella avanzata per Emanuele Zamuner dall’avvocato Federica Bassetto.
Mestre per anni è stato l’avvocato di Donadio. I rapporti tra i due duravano dal 2006: Mestre aiutava Donadio e i suoi sodali nella risoluzione del problemi societari, nella “regolarizzazione” di operai che non figuravano essere assunti, con suggerimenti per trarre vantaggi da società in fallimento. C’è una conversazione, nel maggio del 2016, che secondo la procura era stata illuminante dei rapporti tra Mestre, Zamuner e Donadio. La richiesta di Mestre a Zamuner è di «tenere assolutamente segreto l’appoggio elettorale del gruppo di Donadio essendo questo noto come “mafioso” in tutto il territorio di Eraclea date anche le precedenti vicissitudini giudiziarie».
Scritto da Francesco Furlan per il quotidiano La Nuova Venezia.