Richieste di favori per clienti particolari? Mai. Pressioni di qualche tipo a vantaggio di Donadio? Nemmeno. Minacce o voti garantiti dai meridionali per Mirco Mestre? No nella maniera più assoluta. Nel maxi processo che vede coinvolto Luciano Donadio, Raffaele Buonanno e altri 12 imputati accusati di aver dato vita ad un’associazione per delinquere di stampo mafioso, vanno in scena i testimoni a difesa dell’ex sindaco di Eraclea Mirco Mestre, accusato dalla Procura di aver ottenuto voti da Donadio, ricambiandolo una volta eletto con favori.
Tra i testi citati dall’avvocato difensore Emanuele Fragasso anche l’avvocato e scrittore Francesco Maino, vincitore nel 2013 del premio Italo Calvino con il suo romanzo Cartongesso. Con all’attivo decine di conferenze al fianco di Libera in giro per l’Italia e una candidatura a sindaco di San Donà nel 2018 con Liberi e Uguali, Maino è stato sentito in qualità di collega e amico di Mestre. I due infatti si conoscono fin dal 2001 come praticanti e dal 2004 come colleghi quando decidono di associarsi in uno studio legale. Una collaborazione continuata durante gli anni, anche quando dal 2013 gli impegni letterari di Maino lo portano sempre più frequentemente lontano da San Donà, sede del loro studio. E che, seppur diradata, non si è mai interrotta anche durante gli anni di indagine che hanno portato all’inchiesta della Procura su Eraclea durante i quali Mestre è stato prima legale di Donadio e poi eletto a sindaco della città.
«Da Mirco Mestre non ho mai ricevuto ordini o direttive, non mi ha raccomandato di dire ai miei clienti di non chiamare in correità Donadio», così Maino all’avvocato Fragasso, «così come non mi ha mai chiesto di leggere i verbali di interrogatorio: ero l’unico penalista nello studio, avevo autonomia assoluta. Difesi Vincenzo Vaccaro perché mi era stato presentato da Cristian Sgnaolin che conoscevo dai tempi del liceo. Donadio? Mi capitò di conoscerlo in passato, mentre facevo la pratica, in un procedimento in cui era testimone. So che poi si affidò a Mestre per le sue questioni civilistiche ma mai mi fu detto che doveva essere trattato diversamente». Nel 2016, poi, il salto in politica di Mestre. «Non mi disse che era convinto di vincere le elezioni», di nuovo Maino incalzato dall’avvocato Fragasso a proposito dei presunti accordi che, secondo l’accusa, c’erano tra l’ex sindaco e Donadio sull’appoggio elettorale alle elezioni amministrative. Così come a detta dell’agente di commercio Giuseppe Franzoi (promotore della candidatura di Mestre come volto nuovo dopo la sconfitta di Teso, sentito come testimone) dopo la vittoria alle elezioni del 2016 «nessuno aveva detto di sentirsi in debito verso Donadio o i meridionali». Nemmeno rispetto a progetti come ad esempio quello relativo all’impianto di biogas a Stretti, finito ra le carte dell’accusa come presunta prova delle pressioni fatte sull’ex sindaco. Pratica arrivata in Comune ma poi finita su un binario morto per mancanza di documenti.
«Sollecitazioni dal sindaco Mestre? Mai ricevute, nemmeno per interposta persona», la risposta di Paolino Ramon (all’epoca dirigente del Comune, sentito come testimone) alla pubblico ministero Federica Baccaglini. Insomma, massima libertà in Comune anche nell’azione degli assessori all’epoca in carica, come confermato da Michela Vettore (assessore al bilancio, anche lei sentita come testimone): «Nessuno ci disse mai di fare dei provvedimenti ad hoc per Donadio o congiunti».
Scritto da Eugenio Pendolini per il quotidiano La Nuova Venezia