Violazione dei domiciliari, Kukiqi deve tornare in carcere, lo afferma il Tribunale del Riesame di Venezia. Pur essendo agli arresti domiciliari in casa del fratello, autorizzato a parlare solo con lui in attesa del processo per omicidio stradale – per aver investito e ucciso Giuliano Babbo di Eraclea, guidando a folle velocità la sua potente Audi – il 6 luglio, i carabinieri avevano trovato Kajatz Kukiqi seduto su una panchina fuori la porta di casa, mentre chiacchierava con un conoscente. Per il Tribunale del Riesame di Venezia il giovane kosovaro deve tornare in carcere: e non solo per aver violato gli obblighi degli arresti domiciliari. Lo si legge nel provvedimento con il quale il presiedente Angelo Risi ha accolto il ricorso della pm Carlotta Franceschetti, contro la decisione del giudice per le indagini preliminari di concedere al giovane di attendere a casa del fratello lo sviluppo delle indagini. Per la Procura – al contrario – Kukiqi è pericoloso e va incarcerato: e così la pensa anche il Tribunale del Riesame, anche se il giovane per ora non entrerà in cella, perché il giudice del Riesame ha disposto si attenda la decisione della Cassazione. Nel suo provvedimento, il presidente Risi ricorda che dopo aver investito Babbo, il giovane si era dato alla fuga senza soccorrerlo, accompagnato all’ospedale di Trieste da due amici e dal fratello, «presso la cui abitazione l’indagato si trova agli arresti domiciliari». I difensori hanno negato qualsiasi coinvolgimento del congiunto, che si è limitato a soccorrere il giovane e a riferire alla polizia quello che lui gli aveva raccontato. Ma il Riesame, nel sottolineare che l’arrestato è stato trovato in pochi mesi per ben tre volte senza patente alla guida di potenti auto – «chiaro indice della pericolosità sociale del soggetto, che ha dimostrato un atteggiamento ben poco incline al rispetto delle regole» – il presidente Risi ribadisce che «va valutato il ruolo del fratello convivente, che ha agevolato l’imputato sia nella fuga, sia nell’ottenimento di prestazioni mediche in regime di anonimato e che ha reso dichiarazioni di “mero comodo”. È colui che ha procurato all’indagato in tre occasioni delle auto che non avrebbe potuto condurre (…) agevolando la commissione del delitto». Per il Riesame, dunque, «l’elevato pericolo di reiterazione e l’inidoneità giuridica del domicilio impediscono di ritenere idonea la misura degli arresti domiciliari anche con l’ausilio del braccialetto elettronico». Vista la pena che rischia il giovane – da 5 a 10 anni di reclusione – per il Riesame Kikiqi deve tornare in carcere. Ora la parola passa alla Cassazione.
(Scritto da Roberta De Rossi)