L’unico limite rimane quello di non uscire dai comuni in cui vivono. Per il resto Luciano Donadio – accusato dall’Antimafia di essere a capo di una cupola mafiosa dei Casalesi – rimarrà un uomo libero. Lui come gli altri tredici imputati nel maxiprocesso in corso d’opera in aula bunker a Mestre. Questo perché il tribunale del Riesame di Venezia, presieduto dal giudice Alessandro Gualtieri, ha rigettato il ricorso della procura contro la scarcerazione di Donadio e degli altri imputati, decisa a inizio febbraio. Questo mentre il processo è oggi all’ultima fermata: il 13 aprile la requisitoria, poi le arringhe. La sentenza entro l’estate, a fine di una corsa a tappe iniziata l’11 giugno 2020.
In poche righe il Riesame fa poggiare il perché della decisione sulla scadenza dei termini di custodia cautelare. Il giudice infatti parla di “perdita di efficacia a far data dal 5 febbraio 2023 delle misure custodiali preventivamente applicate” anticipando quindi il respingimento del ricorso dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini e confermando l’ordinanza del 7 febbraio del Collegio presieduto dal giudice Stefano Manduzio “con la quale il tribunale ha sostituito le previgenti misure custodiali con quella, attualmente in essere, dell’obbligo di dimora”. Oltre a Donadio restano quindi liberi anche Adriano Donadio, figlio di Luciano; il braccio destro, Raffaele Buonanno; Raffaele Celardo; Antonio Pacifico; Pietro Morabito; Mauro Secchiati; Costantino Positò; Giuseppe Puoti; Paolo Antonio Valeri; Samuele Faè; Luigi Paolì; Renato Veizi e Franco Breda.
A dare la mossa al provvedimento del Collegio era stata un’istanza presentata dagli avvocati di Luciano Donadio, Renato Alberini e Giovanni Gentilini. Secondo i due penalisti il presunto boss andava scarcerato in quanto erano scaduti i termini della detenzione preventiva, cioè tre anni di carcere dalla data del rinvio a giudizio firmata il 5 febbraio 2020. Tesi che però il Collegio non aveva ritenuto decisiva. Ma “considerato che ormai l’istruttoria dibattimentale è nella parte assolutamente definitiva”, per il tribunale si poteva procedere “ad una rivalutazione” della detenzione in carcere. Situazione alla quale vanno aggiunti i tre anni di reclusione durante il processo. La procura aveva impugnato il provvedimento bollando come “contraddittoria e illogica” la decisione e definendola “inadeguata” nel punto in cui si impone la dimora nei comuni dove avrebbe proliferato l’associazione mafiosa: “nessun elemento prova che gli associati abbiano rescisso i legami con l’organizzazione criminosa”.
Tutto era iniziato il 19 febbraio 2019. Procura Antimafia, carabinieri, polizia e guardia di finanza smantellavano quella che finora è – nell’ipotesi accusatoria – la più importante presenza mafiosa in Veneto, così introdotta da indirizzare le elezioni del Comune di Eraclea, perquisito da cima a fondo per giorni e rimasto per settimane a rischio scioglimento per mafia. Quella mattina c’erano stati una cinquantina di arresti e una trentina di perquisiti, solo indagati. L’11 giugno 2020 si apriva il processo: 45 imputati, molti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, oltre che episodi di estorsione, spaccio, bancarotta.
Scritto da Nicola Munaro per il quotidiano Il Gazzettino