Scarcerazione di Donadio, la Procura fa ricorso

L’atto dei pm: «Decisione illogica e contraddittoria». Contestata la liberazione di altri tredici imputati accusati di mafia.

La Procura della Repubblica ha presentato ricorso contro la scarcerazione di Luciano Donadio, Raffaele Buonanno e gli altri 12 imputati per associazione per delinquere di stampo mafioso, rimessi in libertà nelle scorse settimane dal Collegio del Tribunale che li sta giudicando, dopo 4 anni di carcere cautelare. Sono tornati liberi, con il solo obbligo di restare nel comune di residenza. Per il Tribunale presieduto da Stefano Manduzio, infatti, anche se non sono scaduti i termini di custodia, il processo è ormai alle fasi finali dopo oltre 130 udienze (la sentenza è attesa per giugno) e «va comunque apprezzata la valenza significativa dell’effettivo decorso del prolungato periodo». In sostanza, 4 anni di carcere preventivo sono sufficienti. Una decisione che, invece, per la Procura è «contraddittoria ed illogica», come si legge nel ricorso presentato dai pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo, con il procuratore Bruno Cherchi.

La questione è ora nelle mani del Tribunale del Riesame, che la discuterà il 3 aprile. Secondo la Procura, «nessun elemento a disposizione del giudice prova che gli associati abbiano rescisso i legami con l’organizzazione criminosa né gli imputati hanno mai ammesso gli addebiti relativamente al reato associativo». Il ricorso ricorda anche le sentenze di condanna di primo e secondo grado per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato (ora in attesa della Cassazione), sottolineando che «in entrambi tali provvedimenti vengono riconosciuti ed avvalorati tutti i fatti posti a sostegno della contestazione di associazione mafiosa che è stata conseguentemente ritenuta ai presenti giudicati». E, ancora, si rammentano i molti i “no” opposti dallo stesso Tribunale – nei mesi scorsi – alle istanze di allentamento delle misure richieste dai legali di altri imputati, ora liberi – compreso «Raffaele Buonanno, accusato di essere uno dei due massimi i dirigenti l’associazione mafiosa» – perché non risultano scaduti i termini della custodia cautelare. Il tutto – conclude la Procura nel suo ricorso – «conferma la contraddittorietà e irragionevolezza della motivazione, apparendo del tutto illogico che, a distanza di qualche settimana, li “decorso del tempo” possa essere valorizzato in termini assolutamente opposti tanto da giustificare la remissione in libertà di tutti gli imputati detenuti. Ne consegue che se la premessa dell’ordinanza collegiale è corretta (i termini massimi di fase della custodia cautelare non sono scaduti), la conclusione non può che essere il rigetto dell’istanza e dunque la conferma della misura cautelare in atto».

La Procura chiede, perciò, che gli imputati tornino in carcere. In subordine, si chiede il rovesciamento della misura cautelare: l’allontanamento dal comune di residenza, invece dell’attuale l’obbligo di dimora che «coincide con li luogo ove l’infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale locale si è dimostrata particolarmente profonda, efficiente e pervasiva tanto da generare un effetto intimidatorio diffuso nel territorio e negli ambiti professionali e imprenditoriali del Veneto orientale». Parola ai giudici del Riesame, sentite le difese.

Scritto da Roberta De Rossi per il quotidiano La Nuova Venezia

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